V. 71 N. 6 (2016):
Articoli Scientifici

Il secondo flagello di Messina. Le disastrose ricorrenti alluvioni e i tentativi di porvi rimedio

Giuseppe Giaimi
Già capo dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Messina e Docente a contratto nel Corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali presso le Università di Reggio Calabria e Palermo.

Pubblicato 2017-03-29

Parole chiave

  • alluvioni,
  • città di Messina,
  • ricostituzione idraulico-forestale,
  • Monti Peloritani

Abstract

Ogni volta che nel nostro Paese si verifica un’alluvione, specie in presenza di vittime umane, le frasi che più ricorrono e che subito trovano credito nell’opinione pubblica in mancanza di riscontri obbiettivi sono all’incirca le seguenti: “È la prima volta che accade una cosa del genere”, “Una pioggia così violenta non s’era mai vista”, “A memoria d’uomo non si ricorda nulla di simile”. All’indomani del nubifragio che il primo ottobre 2009 ha sconvolto i villaggi di Altolia, Giampilieri, Guidomandri, Itala e Molino, ricadenti nella zona sud di Messina, e il vicino comune di Scaletta Zanclea (37 morti, 1.656 sfollati, un gran numero di abitazioni inagibili, opere pubbliche distrutte e infinite sofferenze umane), in tanti si affrettarono a dichiarare che trattavasi di un evento imprevisto e imprevedibile, dovuto a manifestazioni atmosferiche “mai prima registrate in quelle zone”. Ebbene, è bastato ricostruire le vicende degli ultimi tre secoli per constatare che tutto il versante orientale dei Peloritani è stato interessato ripetutamente da nubifragi rovinosi, complici alcuni fattori sfavorevoli concorrenti come la specifica natura geo-morfologica del suolo, la struttura del reticolo idrografico, il peculiare regime termo-pluviometrico, l’influenza delle correnti dello Stretto e, non ultima, un’alta dose d’imprevidenza umana. È stato anche dimostrato come i massicci lavori di sistemazione idraulico-forestale eseguiti nel corso del XX secolo siano serviti a rendere le alluvioni meno frequenti e disastrose.