V. 71 N. 2 (2016):
Articoli Scientifici

La selvicoltura vallombrosana da Giovanni Gualberto ai giorni d’oggi

Orazio Ciancio
Presidente Accademia Italiana di Scienze Forestali
Susanna Nocentini
Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali, Università di Firenze

Pubblicato 2016-06-09

Parole chiave

  • Abies alba Mill.,
  • gestione forestale,
  • monaci Vallombrosani

Abstract

Vallombrosa ha svolto nel tempo un ruolo fondamentale per la promozione della cultura forestale e per il progresso scientifico in selvicoltura. I Monaci Vallombrosani misero a punto la tecnica del taglio raso e reimpianto per la coltivazione dell’abete bianco. A partire dal 1866, quando la Foresta di Vallombrosa passò al Demanio dello Stato, l’Amministrazione statale ha continuato l’opera di diffusione dell’abete, applicando lo stesso modello colturale. Il nuovo Piano di gestione forestale redatto nel 2006 cambia l’indirizzo di gestione che non tende più verso una composizione e una struttura predefinite e ritenute ottimali, bensì opera in favore di una graduale evoluzione verso sistemi più diversificati, non solo in termini di composizione ma anche di struttura, habitat e processi. Per varie vicissitudini dell’Amministrazione questo Piano non è stato applicato, se si eccettuano limitati interventi nei primi anni di validità. Le tempeste di vento di eccezionale intensità che negli anni 2013 e 2015 hanno colpito la Foresta di Vallombrosa hanno provocato a tratti estesi schianti, soprattutto nelle abetine. La mancata applicazione di quanto prescritto dal Piano non ha permesso di valutare l’efficacia della gestione proposta per aumentare la resistenza e la resilienza delle abetine a fronte di queste avversità. È indispensabile che la gestione della Foresta di Vallombrosa esca dall’attuale fase di stallo: solo la cura costante e sapiente del selvicoltore può garantire che venga conservato l’inestimabile retaggio ambientale e culturale che ci è stato tramandato nel corso dei secoli.